I contratti di convivenza

La medesima legge n. 70 del 20 maggio 2016 (legge Cirinnà) ha disciplinato, accanto alle unioni civili, le cosiddette convivenze di fatto. Tale disciplina è applicabile a persone omosessuali o eterosessuali che non vogliono contrarre matrimonio né sancire il loro legame attraverso l’unione civile, ma che desiderano comunque disciplinare alcuni aspetti della loro vita in comune. Affinché la convivenza sia legalmente riconosciuta non basta la semplice coabitazione di due soggetti estranei, ma è necessaria l’esistenza di uno stabile vincolo affettivo di coppia, senza distinzione di sesso, che preveda assistenza reciproca e, soprattutto, l’assenza di un rapporto di parentela/adozione e di un precedente vincolo ufficiale, come il matrimonio o l’unione civile. Innanzitutto tale convivenza deve essere attestata da una autocertificazione presentata al Comune di residenza, in cui le parti dichiarano di convivere presso il medesimo indirizzo anagrafico, da dove derivano una serie di diritti e obblighi che in precedenza nessuna legge italiana riconosceva. Successivamente le parti, in base a quanto stabilito nella legge n. 76/2016, hanno la facoltà di disciplinare i rapporti relativi alla vita in comune mediante la sottoscrizione di un contratto di convivenza, redatto per iscritto a pena di nullità, ove possono concordare il luogo di residenza, le modalità di contribuzione di ciascuno alla vita in comune ed il regime patrimoniale che regola i loro rapporti. Con la medesima modalità, ossia per iscritto a pena di nullità, è possibile modificare o risolvere il contratto di convivenza.

La legge prevede infine che, in caso di cessazione della convivenza, la parte che versi in stato di bisogno possa rivolgersi al Giudice per chiedere il versamento degli alimenti, da stabilirsi in base alla durata della convivenza, a carico dell’altra parte economicamente più solida.

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