Cenni sull’istituto dell’affidamento familiare

di Sara Commodo

Ove non sussistano le condizioni per dichiarare l’adottabilità del minore ma si sia in presenza di una situazione in cui il minore sia temporaneamente privo di un ambiente familiare idoneo, nonostante gli interventi di sostegno ed aiuto disposti dallo stato, in tali condizioni l’ordinamento italiano prevede la possibilità di far ricorso all’affidamento familiare disciplinato dalla L.149/2001 che modifica la legge 184/1983

Diverse sono le tipologie di affidamento in ragione dei soggetti da cui viene esercitato (famiglie piuttosto che comunità) ed in ragione delle modalità da cui viene, per ciascuno caso, regolato.

Il minore che si trovi dunque temporaneamente in un ambiente non idoneo può essere affidato

  • ad una famiglia, preferibilmente con figli minori (dunque anche una coppia senza figli);
  • ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui ha bisogno;
  • ove non sia possibile tale genere di affidamento, è consentito l’inserimento del minore in una comunità di tipo familiare o, in mancanza, in un istituto di assistenza al pubblico o privato, che abbia sede preferibilmente nel luogo più vicino a quello in cui stabilmente risiede il nucleo familiare di provenienza. Per i minori di età inferiore a sei anni l’inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare. Tra le novità introdotte dalla nuova legge, deve segnalarsi la scomparsa entro la fine del 2006 devono scomparire gli orfanotrofi e gli istituti di assistenza pubblica e privata. Il ricovero in istituto deve essere superato 2006 mediante l’affidamento ad una famiglia e, ove ciò non sia possibile, mediante inserimento in una comunità di tipo familiare caratterizzate da organizzazione e da rapporti interpersonali analoghi a quelli di una famiglia e dovranno essere sostituiti dalle case famiglia.

Diverse sono le modalità con le quali viene esercitato ciascun affido, in considerazione delle esigenze e degli interessi del bambino:

  • l’affidamento può avvenire anche solo per una parte della giornata o della settimana, quando cioè i genitori d’origine non possono assicurare una presenza costante accanto ai figli;
  • per un tempo breve e prestabilito a causa di una necessità transitoria, come ad esempio un ricovero in ospedale di un genitore, al termine della quale il bambino tornerà nella famiglia d’origine;
  • per un tempo prolungato. Ed è la modalità più comune ma anche più problematica perché non può definirsi in anticipo la durata precisa. In questi casi di può solo fare un progetto di affidamento per un certo periodo e verificare di volta in volta se è attuabile il rientro del minore nella famiglia di origine o è necessario intervenire con altre soluzioni.

L’affidamento può essere proposto:

  • dagli stessi genitori in difficoltà ovvero dal servizio sociale locale a seguito di denuncia o segnalazione da parte degli organi di pubblica sicurezza.

L’affidamento familiare è disposto dal servizio sociale locale, previo consenso manifestato dai genitori o dal genitore esercente la potestà, ovvero dal tutore, sentito il minore che ha compiuto gli anni dodici e anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento. Il giudice tutelare del luogo ove si trova il minore rende esecutivo il provvedimento con decreto.

Ove manchi l’assenso dei genitori esercenti la potestà o del tutore, provvede il Tribunale per i minorenni.

Chi intende prendere un bambino in affidamento deve dichiarare la disponibilità al Servizio sociale locale che valuta l’idoneità del richiedente ad accogliere minori.

Un’istruttoria accerta l’effettiva situazione di temporaneo abbandono ed affida il minore a quelli tra gli aspiranti che sono più idonei a soddisfare le sue esigenze.

Nel provvedimento di affidamento familiare devono essere indicate specificamente:

  • le motivazioni di esso;
  • i tempi e i modi dell’esercizio dei poteri riconosciuti all’affidatario;
  • modalità attraverso le quali i genitori e gli altri componenti il nucleo familiare possono mantenere i rapporti con il minore;
  • deve altresì essere indicato il servizio sociale locale cui è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l’affidamento con l’obbligo di tenere costantemente informati il giudice tutelare o il Tribunale per i Minorenni;
  • deve inoltre essere indicato il periodo di presumibile durata dell’affidamento che deve essere rapportabile al complesso di interventi volti al recupero della famiglia d’origine. Tale periodo non può superare la durata di ventiquattro mesi ed è prorogabile, dal Tribunale per i Minorenni, qualora la sospensione dell’affidamento rechi pregiudizio al minore;

L’affidamento familiare cessa con provvedimento della stessa autorità che lo ha disposto, valutato l’interesse del minore, quando sia venuta meno la situazione di difficoltà temporanea della famiglia d’origine che lo ha determinato, ovvero nel caso in cui la prosecuzione di esso rechi pregiudizio al minore.

Il Giudice Tutelare, trascorso il periodo di durata previsto sentiti il servizio sociale locale interessato ed i minore che ha compiuto gli anni dodici ed anche il minore di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, richiede, se necessario, al competente tribunale per i minorenni l’adozione di ulteriori provvedimenti nell’interesse del minore.

Le stesse disposizioni del presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche nel caso di minori inseriti presso una comunità di tipo familiare o un istituto di assistenza pubblico o privato.

L’affidatario deve:

  • accogliere presso di sé il minore;
  • provvedere al suo mantenimento e alla sua educazione e istruzione, tenendo conto delle indicazioni dei genitori per i quali non vi sia stata pronuncia di decadenza della potestà o del tutore, il tutto osservando le prescrizioni dell’autorità affidante;
  • esercitare i poteri connessi con la potestà parentale in relazione agli ordinari rapporti con la istituzione scolastica e con le autorità sanitarie;
  • essere sentito nei procedimenti civili in materia di potestà, di affidamento e di adattabilità relativi al minore affidato.

I legali rappresentanti delle comunità di tipo famigliare e degli istituti di assistenza pubblici o privati esercitano i poteri tutelari sul minore affidato fino a quando non si provveda alla nomina di un tutore in tutti i casi nei quali l’esercizio della potestà dei genitori o della tutela sia impedito. entro 30 giorni dall’accoglienza del minore, i legali rappresentanti devono proporre istanza per la nomina del tutore. Gli stessi e coloro che prestano anche gratuitamente la propria attività a favore delle comunità di tipo familiare e degli istituti di assistenza pubblici o privati non possono essere chiamati a tale incarico.

Nel caso in cui i genitori riprendano l’esercizio della potestà, le comunità di tipo familiare e gli istituti di assistenza pubblici o privati chiedono al giudice tutelare di fissare eventuali limiti o condizioni a tale esercizio.

Il servizio sociale, nell’ambito delle proprie competenze, su disposizione del giudice ovvero secondo le necessità del caso:

  • svolge opera di sostegno educativo e psicologico;
  • gli è attribuita la responsabilità del programma di assistenza, nonché la vigilanza durante l’affidamento;
  • deve riferire senza indugio al giudice tutelare o al tribunale per i minorenni del luogo in cui il minore si trova ogni evento di particolare rilevanza ed è tenuto a presentare una relazione semestrale sull’andamento del programma di assistenza, sulla sua presumibile ulteriore durata e sull’evoluzione delle condizioni di difficoltà del nucleo familiare di provenienza;
  • agevola i rapporti con la famiglia di provenienza ed il rientro nella stessa del minore secondo le modalità più idonee, avvalendosi anche delle competenze professionali delle altre strutture del territorio e dell’opera delle associazioni familiari eventualmente indicate dagli affidatari.

Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie dei rispettivi bilanci, intervengono con misure di sostegno e di aiuto economico in favore della famiglia affidataria.

Le regioni, nell’ambito delle proprie competenze e sulla base di criteri stabiliti dalla Conferenza permanete per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le provincia autonome di Trento e Bolzano, definiscono gli standard minimi dei servizi e dell’assistenza che devono essere forniti dalle comunità di tipo familiare e dagli istituti e verificano periodicamente il rispetto dei medesimi.

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