L’infortunio “in itinere”: contorni ed operatività non sempre ben definiti.

Nel panorama dell’infortunistica stradale assume un notevole rilievo la categoria del cosiddetto “infortunio in itinere” i cui contorni e la cui operatività non paiono sempre ben definiti. In parole semplici, si tratta dell’assoggettamento al regime dell’assicurazione obbligatoria sul lavoro, di competenza INAIL, anche delle lesioni fisiche subite dal lavoratore dipendente durante il tragitto tra la propria residenza ed il luogo di lavoro, con una evidente equiparazione agli infortuni subiti sul luogo di lavoro.

Tale definizione, diffusasi in particolar modo tra coloro che non hanno specifiche cognizioni giuridiche, risulta però molto imprecisa in quanto ben più estesa della reale portata che il Legislatore ha inteso dare a tale istituto. Per meglio comprendere è bene partire dalla definizione dell’infortunio in itinere che è contenuta nell’art. 12 del D.Leg. 38 del 2000 il quale recita: All’art. 2 e all’art. 210 del testo unico [il riferimento è al T.U. 1124 del 1965] è aggiunto, in fine, il seguente comma: «Salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o, comunque, non necessitate, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e, qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale, durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti. L’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purchè necessitato. Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l’assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida.».

In buona sostanza il Legislatore si è ben guardato dal riconoscere sic et simpliciter la riconoscibilità dell’infortunio in itinere in ogni caso di spostamento del lavoratore tra il luogo di abitazione e quello di lavoro, ma ha inserito dei limiti che hanno posto non pochi problemi interpretativi. In primis deve essere rilevato come affinché si verta in un’ipotesi di infortunio è necessario che il tragitto sia diretto dalla residenza al luogo di lavoro e viceversa, con la conseguenza che non potrà considerarsi infortunio in itinere il caso del lavoratore che uscendo dal lavoro compia una deviazione rispetto al percorso più breve (ad esempio, solo per citare un caso frequente, per fare la spesa sul tragitto del ritorno); in seconda battuta l’utilizzo del mezzo di trasporto privato deve essere “necessitato” e non è quindi una mera facoltà di scelta del lavoratore.

Come si può comprendere dunque, contrariamente a quanto ritenuto diffusamente da molti lavoratori, non esiste alcuna correlazione temporale tra la fine dell’orario di lavoro e la verificazione del sinistro che possa essere considerata un vincolante discrimen per l’applicazione della tutela INAIL: il sinistro potrebbe verificarsi a 5 minuti dall’uscita dal lavoro e non essere inquadrabile come “in itinere” (si pensi a chi va nella direzione opposta rispetto alla propria residenza) così come, viceversa, potrebbe verificarsi ad un’ora dalla fine dell’orario di lavoro ed esserlo (come nel caso di spostamenti particolarmente lunghi o particolarmente trafficati). In punto utilizzo del mezzo privato, poi, la giurisprudenza non si è mai pronunciata in maniera inequivoca per sancire chiaramente se consenta l’applicabilità del regime dell’infortunio in itinere al sinistro verificatosi sulla vettura privata, preferendo una valutazione caso per caso ispirata al rischio cui si sottopone il lavoratore rispetto all’attività lavorativa.

Si parla in questo caso del c.d. “rischio elettivo” definito dalla Cassazione come quello che sia collegato a una scelta arbitraria del lavoratore che crei o affronti volutamente una situazione di rischio diversa da quella inerente allo svolgimento dell’attività lavorativa.

L’argomentazione usata dalla giurisprudenza, con una posizione che per molti versi resta ambigua sotto il profilo della concerta individuazione delle ipotesi di infortunio in itinere, può essere così riassunta: “Perché si abbia infortunio sul lavoro indennizzabile ai sensi del citato art. 2 (D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124), però, non è sufficiente che l’attività lavorativa abbia determinato in capo al lavoratore un rischio generico ossia un rischio al quale il lavoratore soggiace al pari di tutti gli altri cittadini indipendentemente dall’attività lavorativa svolta, bensì occorre che essa abbia determinato o un rischio specifico ossia un rischio derivante dalle particolari condizioni dell’attività lavorativa svolta e/o dell’apparato produttivo dell’azienda, ovvero da un rischio generico aggravato, ossia da un rischio che, pur essendo comune a tutti i cittadini che non svolgono l’attività lavorativa dell’assicurato, si pone, tuttavia, in ragione di necessario collegamento eziologico con l’attività lavorativa del medesimo (esempio: infortunio “in itinere”). In ogni caso, però, viene meno l’indennizzabilità dell’infortunio nell’ipotesi del cosiddetto rischio elettivo” (Cass. civ., Sez. lavoro, 27/01/2006, n.1718).

In quest’ottica si sono alternate sentenze che hanno riconosciuto l’infortunio in itinere avvenuto durante l’utilizzo del mezzo privato ponendo l’accento sulle necessità di vita quotidiana del lavoratore (ad esempio distanze particolarmente lunghe oppure necessità di accudire altri membri della famiglia) ad altre che invece l’hanno negato a fronte dell’utilizzabilità di mezzi pubblici ritenendo questi ultimi il mezzo normale e più sicuro di spostamento che non comporti un aumento di rischio diverso da quello inerente l’attività lavorativa.

Differenze sotto il profilo del danno non patrimoniale.

La materia è dunque ancora ampiamente dibattuta sotto il profilo giuridico, contrariamente a quanto erroneamente ritenuto dai non addetti ai lavori e può portare anche ad importanti differenze sotto il profilo di risarcimento del danno non patrimoniale.
E’ necessario distinguere immediatamente due ipotesi differenti che portano a conseguenze diametralmente opposte e che dipendono dall’addebitabilità della responsabilità del sinistro che ha cagionato le lesioni.

Qualora infatti il lavoratore-danneggiato non abbia alcuna responsabilità nella verificazione del sinistro non avrà alcun interesse concreto ad aprire una posizione di infortunio professionale in itinere.
In tale caso, infatti, poiché ai sensi dell’art. 13 del D.leg. 38/2000, l’Inail provvede all’indennizzo in ragione del danno accertato secondo il seguente schema:

  • fino al 5% nessun risarcimento (franchigia);
  • dal 6 al 15% in forma capitale secondo le tabelle INAIL;
  • dal 16% al 100% in forma di rendita vitalizia calcolata sul valore di quello che dovrebbe essere il capitale secondo le tabelle INAIL, con la conseguenza che il lavoratore si troverà, a fronte di danni ingenti, a percepire solo una rendita spesso bassa anziché un elevato capitale immediatamente.

Inoltre deve essere rilevato come la rendita vitalizia non sia trasmissibile agli eredi e pertanto in ipotesi di premorienza rispetto alla vita presunta, l’indennizzo verrebbe percepito solo parzialmente dal danneggiato, con un indebito arricchimento in capo all’INAIL.
Va ancora considerato poi che l’indennizzo INAIL è parziale per definizione: in esso non viene mai compreso ad esempio il danno morale ed anche le poste risarcitorie sono generalmente inferiori a quanto riconosciuto dai Tribunali nell’ambito della responsabilità civile.
Appare quindi chiaro anche nell’ipotesi di danno biologico riportato nella misura tra 6 e 15 punti percentuali, il danneggiato non sempre ha una convenienza a lasciar intervenire l’INAIL in quanto la somma erogata dall’Istituto risulterà certamente insufficiente con la conseguenza che al fine di ottenere il giusto risarcimento sarà comunque necessario adire le vie legali per ottenere il danno differenziale.

Riteniamo pertanto che, nell’ottica del risarcimento del danno, in caso di sinistro senza alcuna responsabilità, il lavoratore-danneggiato non ha alcun interesse a considerarlo infortunio in itinere in quanto ciò potrebbe divenire addirittura controproducente.
Le cose invece possono mutare radicalmente in caso di sinistro con responsabilità esclusiva e/o maggioritaria del lavoratore-daneggiato. In tale ipotesi, infatti, quest’ultimo potrà giovarsi dell’indennizzo INAIL che, trattandosi sostanzialmente di una “polizza –infortuni”, prescinde dalla responsabilità del sinistro tranne ovviamente le ipotesi di dolo o gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e di psicofarmaci o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni; l’assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida”.

Riteniamo che nel quadro complessivo ora descritto, per quanto sintetico e non certo esaustivo, possa essere rinvenute tutte qulel nozioni base che possono consigliare il lavoratore infortunatosi durante gli spostamenti casa-lavoro al fine di potersi al meglio tutelare.

Deve essere infatti rilevato che spesso la pratica di infortunio in itinere è consequenziale alle informazioni rese dall’infortunato durante le prime cure prestate nelle strutture ospedaliere dove viene qualificato come infortunio in itinere qualunque lesione conseguente ad un sinistro che il danneggiato lamenti essersi verificato durante il tragitto tra il posto di lavoro e la propria abitazione.

Sono gli stessi infermieri addetti all’accettazione che richiedono in maniera sintetica e sbrigativa se il sinistro foriero delle lesioni sia avvenuto all’ingresso o all’uscita dal lavoro ed in caso di risposta affermativa a barrare immediatamente la casella INAIL sul certificato di ingresso di P.S..

Privo di appropriate e specifiche conoscenze, il danneggiato si troverà spesso a rispondere positivamente a tale domanda benché non sussistano i requisiti necessari alla copertura assicurativa dell’INAIL.
Si pensi al lavoratore dipendente che, uscito dal luogo di lavoro stesse andando al supermercato anziché a casa: in tale ipotesi, benché non ne ricorrano certamente gli estremi, con ogni probabilità verrà erroneamente aperto un infortunio in itinere a causa di una domanda posta troppo genericamente (ad esempio “Stava andando o tornando dal lavoro?”).
E’ bene a questo punto poi chiarire che le conseguenze dell’apertura di una pratica indebitamente qualificata come infortunio pendono direttamente tutte in capo all’incolpevole lavoratore e non certo in capo a chi, senza fornire le adeguate motivazioni, ha ingenerato l’equivoco.

Concludendo, riteniamo di poter consigliare a chi si trovasse nella spiacevole situazione di subire un infortunio che “rischia” di essere teoricamente qualificato come “in itinere” di contattare immediatamente il proprio legale di fiducia al fine di non pregiudicare il proprio diritto all’integrale risarcimento del danno subito.

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