Class action, una legge da ripensare con lo sguardo rivolto agli Usa

di Ludovica Ambrosio

Nell’ambito della responsabilità civile, sempre più spesso si sente ormai utilizzare, anche in Italia, il termine “class action”. Il  più delle volte giornali e mass media abusano di questo termine o lo utilizzano a sproposito, forse senza neppure sapere bene di che cosa si tratti, sottovalutando potenzialità e valore sociale di tale strumento.
Questo breve approfondimento, che ha lo scopo di fornire un sintetico vademecum sui tratti peculiari della class action, con particolare riferimento allo stato dei fatti in Italia ed ai possibili sviluppi che tale azione potrebbe avere nel nostro paese, viene alla luce in seguito ad un periodo di lavoro trascorso presso la sede di New York dello Studio legale Lieff, Cabraser Heimann & Bernstein. Si tratta dello Studio legale che al mondo ha conseguito la migliore esperienza sul tema, sia per il numero di vittime seguite sia per l’entità dei risarcimenti ottenuti, tanto da essere definito da plurime riviste del settore, tra cui, ad esempio, ilNational Law Journal, comethe top plaintiffs law firm in the nation for over a dozen yearsLo studio, del quale fanno parte più di 60 avvocati, è specializzato in risarcimento danni ed in class action riguardanti, in particolare, danni alla persona, frodi finanziarie ai danni del consumatore, discriminazioni sul posto di lavoro e tutte le altre situazioni da cui possono scaturire danni alla comunità.

Cos’è una class action?
La class action è un’azione legale attraverso la quale un ridotto numero di persone agisce in giudizio in nome proprio ed in rappresentanza di molti altri soggetti che non partecipano al processo ma con i quali condividono lo stesso tipo di danno e di richieste. Tale strumento giuridico è nato per evitare la ripetizione di giudizi aventi ad oggetto la stessa materia del contendere, per disincentivare pratiche scorrette da parte delle grandi società, spesso multinazionali, a danno dei consumatori ed anche per facilitare la prosecuzione di richieste di danni che, considerati singolarmente, sono di lieve entità e solo se considerati nella loro totalità hanno la possibilità di esporre le società ad enormi responsabilità di tipo economico. In questi ultimi casi, in assenza di class action, i danneggiati sarebbero costretti a rinunciare a far valere i propri diritti in quanto eventuali azioni individuali sarebbero costose ed impraticabili.
Negli ultimi anni però si è assistito ad un utilizzo sempre maggiore di class action anche nei casi in cui i danni patiti dai singoli danneggiati sono rilevanti come, ad esempio, ai disastri aerei e ferroviari, frodi finanziarie, malattie sul lavoro, disastri ambientali, etc. Si aggiunga ancora che, nella quasi totalità dei casi, i soggetti convenuti nelle cause collettive sono grandi società, multinazionali o enti i quali sono indubbiamente in una posizione di assoluta e indiscussa forza, potenza e ricchezza rispetto ai singoli danneggiati.
Da qui deriva la forte utilità sociale di questo tipo di azione che consente al singolo danneggiato di essere messo sullo stesso piano di una grande multinazionale e di poter giocare ad armi pari nella battaglia per il riconoscimento dei propri diritti. La class action viene quindi ad assumere un ruolo fondamentale nella teoria economica del diritto: l’alleanza dei consumatori si pone come valido contraltare alle grandi corporations che nel loro insieme rappresentano il principale esito della società basata sul capitalismo. L’accesso agevolato al processo permesso dalla class action, in particolare se unito alla la previsione dei “danni punitivi”,  costituiscono uno strumento positivo che facilita e consente la  dialettica sociale e diventa un “correttivo” interno del sistema capitalistico alle cattive prassi produttive o commerciali.

Pregi e difetti
Prima di tutto bisogna sottolineare il grande valore sociale di tale tipo di azione. Da un lato, infatti, il singolo danneggiato, attraverso una class action, oltre all’ottenimento di una condanna della società che gli ha cagionato il danno ed al relativo risarcimento, ha la possibilità di poter cambiare un sistema, di poter porre fine ad una pratica commerciale scorretta e di far venire alla luce le frodi perpetrate da un’intera industria a danno dei singoli consumatori. Dall’altro lato, l’esistenza e l’efficacia di questo tipo di azioni, viene a configurare un monito nei confronti delle grandi società multinazionali a tenere una condotta corretta senza anteporre i propri guadagni alla salute e sicurezza dei singoli consumatori in quanto sanno che, se ciò dovesse accadere, subirebbero ingenti condanne e relative perdite economiche in esito alla proposizione di azioni di classe. Non si dimentichi inoltre che un’azione collettiva può far risparmiare risorse sia ai Tribunali sia ai singoli danneggiati.
Indubbiamente infatti la possibilità di poter affrontare in un unico giudizio svariate centinaia di casi analoghi comporta innumerevoli vantaggi sotto il profilo dell’economia processuale, garantendo coerenza al sistema. Anche analizzando la situazione dal punto di vista dei danneggiati, emerge come questi, attraverso una class action godano di un accesso facilitato alla giustizia, ottenendo così il risarcimento del danno subito il quale comunque non sarebbe difforme da quello che potrebbero ottenere portando avanti azioni individuali, con l’ulteriore vantaggio che molto probabilmente, agendo da soli, non avrebbero avuto il potere contrattuale necessario per raggiungere un risultato positivo. Evidentemente la class action è uno strumento che, se utilizzato male, può creare lungaggini e complicazioni nel procedimento risarcitorio. Deve inoltre essere usato cautamente e con estrema attenzione in quanto ha il potere di mettere in ginocchio intere aziende, con tutti i risvolti negativi che possono derivare dalla crisi, o peggio dalla chiusura, di una società.

La class action negli USA
Come anticipato la class action trova la sua massima espressione negli USA e generalmente negli stati di common law in cui, come noto, la rilevanza del precedente assume un ruolo fondamentale nell’organizzazione del sistema giustizia. La caratteristica principale della class action risiede nella possibilità per uno o più soggetti di agire in giudizio non solo in nome proprio ma anche per tutti gli “absent” ossia coloro che non promuovono l’azione ma che potenzialmente potrebbero trovarsi nella stessa situazione di colui o coloro che instaurano il giudizio. Quindi una class action potrebbe essere, e spesso è, introdotta da una sola persona che, però, rappresenta gli interessi dell’intera classe.
Negli U.S. le class action sono regolate da una normativa complessa ed in continua evoluzione, contenuta nella Rule 23 delle Federal Rules of Civil Procedure del 1938.
Solo qualora l’azione dispiegata possegga tutti i requisiti previsti dettagliatamente dalla legge (numerosity; commonality, typicality and adequacy of representation) ottiene dalla Corte la certificazione di class action e, da questo momento in avanti, inizia a seguire la procedura tipica e speciale prevista per tale tipo di azioni. Nella maggior parte dei casi, è proprio in seguito all’ottenimento della certificazione di class action che le controparti iniziano a intavolare trattative con gli avvocati delle vittime al fine di raggiungere accordi transattivi atti a scongiurare la prosecuzione del giudizio. Dopo che la Corte certifica l’azione come “class action”,  precisa la natura dell’azione e definisce i requisiti della classe, ordinando poi che di tutto ciò venga data notizia all’esterno con tutti i mezzi possibili (pubblicità su giornali, volantini, lettere, etc.) a tutti gli altri potenziali attori attraverso quella che e’ chiamata “notice”. I costi per tale tipo di attività sono posti a carico dell’attore anche se, molto spesso, gli stessi vengono anticipati dall’avvocato. A questo punto, tutti coloro che hanno il titolo per poter far parte della classe ma che non vogliono che l’accordo che ne deriverà diventi vincolante anche nei loro confronti, magari perché pensano di potere ottenere un risultato migliore agendo diversamente, hanno il diritto di uscire dalla classe esercitando il diritto di “opt out”. La Corte inoltre nomina il “class counsel” ossia l’avvocato di riferimento per tutta la classe. E’ infatti noto che ad una class action, essendoci svariate decine/centinaia di partecipanti, partecipino anche numerosi avvocati ma soltanto uno viene nominato dalla Corte ufficialmente come il difensore della classe. Di solito si tratta di un avvocato esperto, conosciuto e rispettato da tutta la comunità giuridica e che abbia le competenze per rappresentare al meglio gli interessi della classe. È infatti indispensabile che gli interessi della classe vengano difesi nel migliore dei modi visto che il risultato che scaturirà all’esito della class action diverrà vincolante anche per tutti coloro che non hanno partecipato in prima persona al processo. Nel caso in cui si raggiunga un accordo transattivo, o qualora questo non sia possibile e si addivenga ad una pronuncia di condanna da parte della Corte all’esito del processo, a tutti coloro che sono stati danneggiati dall’azione del convenuto e che ne fanno richiesta, viene riconosciuto il risarcimento accordato oppure, qualora risulti troppo difficoltoso identificare e contattare tutte le vittime, viene istituito un fondo dal quale possono attingere tutti coloro che dimostrano di avere il titolo per fare parte della classe e di essere stati danneggiati dall’azione del responsabile civile . Evidentemente l’azione collettiva deve conciliarsi col diritto di difesa del singolo cittadino che conseguentemente deve essere informato del suo diritto di non aderire all’azione collettiva in tutte le fasi del procedimento, dall’avvio alla sentenza. Conseguentemente, anche dopo il raggiungimento di un  accordo, la Corte ordina al convenuto di dare adeguata notizia a tutti i potenziali membri della classe del risultato raggiunto. Infatti, qualora il risarcimento risultasse penalizzante, chi non concorda con la class action conserva il diritto di rifiutarne l’esito e di intraprendere un’azione individuale. Diversamente, l’azione collettiva potrebbe essere strumentalizzata da ricorrenti che, promuovendo l’azione per primi in accordo alla controparte, accettano risarcimenti o transazioni di minimo importo, vincolanti anche per gli altri ricorrenti. In questo dunque sta la forza della class action: l’accordo o la pronuncia risultante dall’azione portata avanti solo da alcuni rappresentanti nell’interesse dell’intera classe diviene vincolante per tutti (eccezion fatta per coloro che, come detto prima, hanno esercitato il diritto di opt-out).

Quanto costa una class action?
Negli Stati Uniti introdurre un’azione costa relativamente poco: la tassa da versare allo Stato si aggira intorno ai 300 $, indipendentemente dal valore della causa. Il danneggiato dovrà quindi solo preoccuparsi di pagare il proprio avvocato.  Solitamente si concorda il versamento di un fondo spese iniziale con la previsione che gli onorari dell’avvocato vengano poi calcolati in base ad una percentuale del ricavato. È però da dire che i grandi studi legali americani, quando credono nella fondatezza di un caso, investono sullo stesso anticipando tutti i costi della class action e subordinando il pagamento dei loro onorari al raggiungimento del risultato secondo la nota regola del “no win no fees”. In caso di perdita il cliente non dovrà pagare nulla e lo studio legale non percepirà nulla. Inoltre, a differenza di quanto accade in Italia, non vi è neppure il rischio che in caso di soccombenza l’attore debba pagare le spese legali anche del convenuto in quanto, secondo la regola generale, ogni parte è tenuta solamente a far fronte alle spese del proprio difensore. Da qui emerge un’altra grande differenza rispetto al sistema italiano in cui invece, in caso di soccombenza il danneggiato oltre a pagare le spese del proprio avvocato e di quello della controparte, è altresì soggetto al rischio di condanna alla spese per lite temeraria (sic!).
In definitiva quindi si può affermare come il sistema americano consenta la danneggiato un accesso alla giustizia facilitato, specie in caso di mass tort.

Quali sono state le class action più di successo?
Una delle class action più note, e da cui è stato anche tratto il film dal titolo “Erin Brockovich”, dal nome dell’avvocata attivista che si è occupata della pratica, è quella che è stata portata avanti all’inizio degli anni 90 dallo studio Masry-Vitito contro l’azienda chimica Pacific Gas & Electric, accusata di aver inquinato le falde idriche di Los Angeles con cromo esavalente, una forma di cromo molto dannosa e cancerogena. All’esito dell’azione legale il colosso dell’energia è stato costretto a pagare uno dei più grandi risarcimenti nella storia degli Stati Uniti: 333 milioni di dollari ai più di 600 residenti di Hinkley. Altrettanto significativa è la class action che è stata portata avanti dallo studio legale Lieff Cabraser Heimann & Bernstein contro l’industria del tabacco per i danni da fumo e che ha portato ad un risarcimento, alla fine degli anni ‘90, di 42 miliardi di dollari. Oltre al risarcimento del danno patito dai fumatori malati di cancro ed a rifondere i costi sostenuti dal governo Americano per le cure mediche inferte ai pazienti affetti da danni da fumo, l’accordo prevedeva altresì radicali cambiamenti da parte delle multinazionali del tabacco nelle proprie campagne pubblicitarie e nella vendita di sigarette. Si pensi ad esempio al divieto di affiggere cartelloni pubblicitari o di inserire spot in TV incoraggianti la pratica del fumo, od ancora al divieto di pubblicizzare brand di sigarette sulle macchine della formula uno. Arrivando ai giorni nostri, invece, una delle class action più importanti e nella quale l’avvocato Elisabeth Cabraser è stata nominata quale class counsel, è quella intentata contro l’industria automobilistica tedesca Volkswagen, colpevole di aver montato su alcuni modelli di vetture un sistema in grado di alterare le emissioni di scarico ed in particolare degli ossidi d’azoto (NOx), riducendoli durante i controlli per le omologazioni. Nel mese di giugno 2016 negli U.S. Volkswagen, proprietari dei veicoli interessati e Ministero della Giustizia hanno raggiunto un accordo per complessivi 15 miliardi di dollari. Ora la sfida sarà quella di far ottenere lo stesso risultato anche ai consumatori europei molti dei quali si sono rivolti agli studi legali che, insieme allo Studio Lieff & Cabraser, hanno costituito il Global Justice Network attraverso il quale intendono proseguire l’esperienza che hanno maturato lavorando insieme in diversi casi internazionali. Tra i principali animatori e componenti del Global Justice Network vi è anche lo  Studio Legale Ambrosio & Commodo che infatti ha assunto un ruolo attivo nella iniziativa giudiziaria nei confronti del Gruppo Audi-VolksWagen, provvedendo a depositare in data 11.5.2016 un atto di intervento avanti il Tribunale di Venezia nella causa intentata da Codacons e continuando a svolgere indagini tecniche finalizzate alla miglior difesa dei danneggiati.

La class action in Italia
Volendo ora fare un quadro del dibattito e della normativa italiana in merito alla class action, va detto che  già a partire dalla fine dagli anni Settanta nel nostro Paese si è incominciato a parlare dell’utilità di introdurre anche nel nostro sistema giuridico il rimedio della class action di stampo americano. Dopo un ampio dibattito dottrinale e politico, l’istituto della class action è stato finalmente introdotto nella legislazione italiana con la legge 99 del 23 luglio 2009, che ha modificato l’articolo 140-bis del Codice del consumo, oggi rubricato “azione di classe”. Sfortunatamente la norma che regola la class action all’italiana è risultata inadeguata, prevedendo paletti spesso insuperabili ed enormi difficoltà interpretative e procedurali. Infatti, dall’entrata in vigore della legge ad oggi il bilancio è disastroso: solo due sole class action sono state dichiarate ammissibili. La prima è quella avviata dal Codacons a Milano contro il test fai-da-te per la H1N1, la cosiddetta influenza suina, venduto a 13 euro dalla Voden Medical Instruments Spa. Tale class action è rimasta priva di ogni conseguenza dal momento che, dopo che l’associazione consumatori ha speso oltre 20.000 euro per pubblicizzare la causa solamente una persona vi ha aderito. La seconda è l’azione collettiva promossa da Altroconsumo contro Intesa Sanpaolo in merito alla problematica della commissione di massimo scoperto per i conti senza fido. Tutte le altre proposte di azioni collettive sono state dichiarate inammissibili: si va dalla richiesta di rimborso delle licenze di Windows preinstallato sui pc a quella dei pendolari della linea Roma-Nettuno contro Trenitalia, sino alla causa proposta contro la BAT Italia per i danni da fumo.
Le minacce di class action sono pressoché infinite ma molto probabilmente, visto lo stato dell’arte, non sortiranno quasi sicuramente alcun esito positivo.
Tutto ciò premesso, non pare quindi un’esagerazione affermare che, in Italia, la class action non esiste. La legge attuale infatti, così come è stata scritta, non conferisce a tale strumento giuridico il potere e la forza di raggiungere i risultati sperati.

Cosa dovrebbe cambiare in Italia affinchè la class action funzioni
Sicuramente, per poter meglio individuare i punti deboli della normativa italiana, è sufficiente soffermarsi sulle principali differenze tra la nostra class action e quella prevista nel sistema americano ove invece, come e’ noto, tale tipo di azione riesce egregiamente a soddisfare le esigenza di economia processuale e di certezza del diritto oltre che a sortire un valido effetto deterrente e inibente nella repressione delle condotte nocive o ingiuste da parte degli operatori economici più forti. La differenza maggiore è senza dubbio ravvisabile nel cauto sistema di “opt – in” adottato dal legislatore italiano, invece del più facilitante sistema di “opt-out” previsto nel sistema americano. Tale disposizione infatti assoggetta al giudicato formatosi nel processo di gruppo esclusivamente gli aderenti e gli interventori. In Italia dunque non c’è automatica vincolatività del giudicato collettivo per tutti gli appartenenti alla categoria rappresentata da chi agisce in giudizio, bensì solo la possibilità che il singolo, tramite un volontario atto di intervento o adesione, si sottoponga al dispiegarsi degli effetti, favorevoli o meno, della pronuncia sulla causa di classe. Per non parlare dei costi proibitivi di una class action all’italiana e delle conseguenze tragiche a cui dovrebbe far fronte l’attore in caso di sconfitta. Tutti ben conosciamo gli elevati costi di accesso alla giustizia che ci sono nel nostro paese. Pensiamo già solo al contributo unificato, marche da bollo, tassa di registro etc. Si aggiungano inoltre le spese necessarie per pubblicizzare tale tipo di azione, che ricadono ovviamente in prima battuta sull’attore, così come i costi del proprio avvocato. Infine, il  cittadino  italiano che decide di prendere parte ad una class action deve anche accollarsi il rischio di dover pagare, in caso di sconfitta, le spese legali dell’avversario, oltre all’eventualità di dover in aggiunta subire una condanna per lite temeraria ex art. 96 c.p.c. Come si è avuto modo di analizzare meglio supra, un cittadino americano non ha grandi costi da sostenere per presentare un’azione davanti alla Corte, né è assoggettato al rischio di dover sostenere tutti i costi sopra descritti nel caso di soccombenza. Nella peggiore delle ipotesi, egli vedrà solamente negarsi il diritto al risarcimento, senza dover pagare di tasca sua alcunchè. Un ultimo cenno va fatto alle enormi formalità presenti nella procedura italiana che comportano, in primis, notevoli difficoltà ad ottenere la certificazione di class action. Quest’ultima infatti viene concessa solamente allorquando i diritti fatti valere si presentano come omogenei oppure identici ma, nella pratica, tale uguaglianza è molto difficile da riscontrare. Ulteriori lungaggini si ravvisano nelle modalità di adesione  all’azione nonchè nell’ottenere  il risarcimento in caso di condanna. A tal proposito infatti si rileva che, la sentenza che deriva dal giudizio collettivo non conduce in realtà ad una sentenza di condanna bensì ad una pronuncia sui generis di mero accertamento, che eventualmente può contenere i criteri per la liquidazione delle somme spettanti ai singoli consumatori o utenti o addirittura gli importi minimi da riconoscersi a ciascuno di essi, ma che non attribuisce di per sé ai vincitori il potere di provocare, da parte dell’ufficiale giudiziario e dal giudice dell’esecuzione, l’inizio e la prosecuzione del procedimento per la soddisfazione coattiva della massa di diritti di credito dei consumatori o degli utenti.
Dunque, la procedura prevista nella legislazione italiana, anzichè garantire snellezza e velocità al procedimento, prevede paletti e difficoltà burocratiche che non rendono agevole il dispiego di questa azione.
In conclusione quindi risulta necessario un intervento normativo volto a rivedere l’attuale normativa apportando le modifiche necessarie affinchè, anche in Italia, la class action possa venire a costituire un valido strumento a tutela dei diritti del danneggiato.

 

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